DOMENICA II PASQUA - A - di Padre Michele Iorio - 

Una notte un contadino irlandese fece un sogno. Gli sembrava di trovarsi dinanzi al tribunale di Nostro Signore per l’ultimo giudizio. C’era il Signore assiso sul trono, e dinanzi a lui tante persone che aspettavano la sentenza. Si presenta uno, e Gesù aprendo il libro legge e dice: “Bravo, servo buono e fedele, entra nel Paradiso! Quella volta io ero affamato e tu mi hai dato da mangiare”. A un altro: “Bravo, servo buono e fedele, entra nel Paradiso! Io quella volta avevo sete e tu mi hai dato da bere”. E così si avvicina sempre di più il turno del contadino irlandese che intanto pensava:” Chissà che cosa dirà a me?! …”. E il cuore gli batteva forte. Infatti, facendo l’esame di coscienza, si rendeva conto che lui non aveva fatte troppe opere buone. Ma eccolo dinanzi a Nostro Signore che aprì il libro, poi lo guardò e gli disse: “Bravo, servo buono e fedele, entra anche tu in Paradiso! Perché, quella volta ero triste e tu mi hai raccontato una barzelletta, mi hai fatto sorridere e mi hai dato gioia!”.
Cari fedeli, questo raccontino è solo per dire che le opere di misericordia sono tante, e per dire che, per entrare in Paradiso, basta anche molto poco fatto per amore di Dio e per amore del prossimo. Ma questo raccontino io ve l’ho detto oggi, in questa II Domenica di Pasqua, mentre il nostro cuore è pieno di gioia per la Risurrezione di Nostro Signore, per ricordarci che il cuore dell’uomo è fatto per la felicità e per la gioia. E allora io vi parlerò soprattutto della gioia.

La parola “gioia” quest’oggi l’abbiamo sentita nella I Lettura, nella II Lettura e anche nella pagina evangelica.
Nella I Lettura leggiamo che la prima comunità dei cristiani con gli apostoli “prendevano i pasti in letizia e in semplicità di cuore”. Letizia è gioia. C’era gioia in quella primitiva comunità cristiana, perché c’era la fede, c’era la preghiera, c’era l’Eucarestia, c’era l’amore fraterno.
La parola gioia ce l’ha ripetuta anche S. Pietro nella II Lettura. Ha detto: “Voi siete nella gioia, anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie prove, perché la vostra fede ben più preziosa dell’oro, che pur destinato a perire viene messo nel crogiuolo, così anche la vostra fede viene provata. Ma voi, anche in mezzo alle prove, alle persecuzioni e alle sofferenze, siete tuttavia nella gioia, perché pensate alla speranza futura. Pensate ai beni del cielo”. Forse ricorderete la frase molto simile di San Francesco d’Assisi: “Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto”, cioè mi è causa di gioia.
La parola gioia, ancora di più, l’abbiamo sentita nel brano evangelico di questa II Domenica. Gesù risorto appare agli apostoli e dice per due volte “shalom”, cioè pace, pace a voi. E i discepoli, che erano timorosi, che avevano tanta paura dei Giudei perché Gesù era morto e chissà che cosa ne era ormai di Lui e di loro, i discepoli, al vedere Gesù risorto, “ gioirono” dice il Vangelo.

Ecco, la gioia. Siamo noi testimoni della gioia in mezzo ai fratelli? Diceva Santa Teresa: “Un santo triste è un tristo santo”, è un santo cattivo, cioè non è per niente santo chi non ha la gioia e chi non sa donare la gioia. Sapete che il Vangelo è gioia. Già la stessa parola “Vangelo, Evangelo” significa in greco “lieto annuncio”, cioè notizia di gioia.
E - direte voi - perché questa notizia di gioia? Mah, per tanti motivi! Perché Dio che era lontano si è fatto vicino all’uomo, perché il Figlio di Dio è nato come uomo in mezzo a noi, è vissuto con noi, ha sofferto come noi, è morto come moriamo noi, ed è risorto come noi dobbiamo risorgere, e in questo modo ci ha riscattati dalla schiavitù del peccato e ci ha acquistato il Paradiso. Egli vuole dire a tutti, come disse al buon ladrone sulla croce: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Ecco perché siamo nella gioia.
Eravamo nelle tenebre della morte per i nostri peccati, ma Gesù Cristo ci ha riscattati, ci ha resi liberi perché noi restassimo liberi. Non siamo più prigionieri ma siamo veramente nella libertà, e possiamo cantare al mare, al cielo e a tutti la nostra gioia. Siamo figli di Dio, e poi quello che saremo “non è stato ancora rivelato”; “occhio non ha visto, orecchio non ha sentito, cuore non sa quello che Dio ha preparato per coloro che lo amano”.
Potremmo noi essere nella tristezza? Certo, non è che siamo dei superman. Anche noi abbiamo le malattie e le sofferenze; anche noi abbiamo gli amici che ci tradiscono, anche noi abbiamo da lottare, da lavorare, e c’è la pena per ogni giorno. Anche a noi le cose spesso vanno storte; anche noi abbiamo le passioni e i vizi, e tante altre cose che sono motivo di tristezza, di preoccupazione e di timore. Ma se pure in superficie il mare della nostra anima può essere agitato, in profondità esso deve restare sempre calmo, nella pace e nella gioia, perché Gesù risorto è con noi e non ci abbandona, perché abbiamo l’Eucaristia, perché possiamo pregare Dio dicendo: “Padre nostro, Padre mio”. Perché possiamo rivolgerci alla Madonna e dirle: “ Madre nostra, Madre mia!”. Perché, un giorno, il Paradiso sarà nostro, dopo il cammino in questa valle di lacrime, se saremo stati fedeli, se noi lo vogliamo, perché Dio già lo vuole. Ecco i motivi della nostra gioia. E questi motivi sono perennemente validi, e perciò anche la nostra gioia non viene mai meno.
Se invece la nostra gioia, fratelli e sorelle cristiani, fosse legata alle cose di questa terra, voi capite che sarebbe una piccola gioia, una gioia apparente, una “gioia non gioia”. Se un bambino pensa che tutta la sua gioia e felicità sta in quel giocattolo che il papà gli ha comprato, la sua gioia finirà quando il fratellino gli prende il giocattolo e glielo rompe. Tante volte anche noi grandi siamo così. Pensiamo che la nostra gioia possa consistere magari in un bicchier di vino o nella casa, nel posto, nel lavoro, nell’avere uno stipendio maggiore. Ma allorché le cose vanno storte perché ci cade la casa, perché veniamo licenziati, allora finirà la nostra gioia?! … Certo, ci sono le preoccupazioni perché, come dicevo, non siamo dei superman ma uomini comuni e mortali. Però siamo uomini rinati e rigenerati; siamo uomini-figli di Dio. Perciò, fratelli, su, in alto i nostri cuori, come dice la Chiesa! Alzate gli occhi al cielo dove sono i vostri, i nostri beni e dove ci attende Gesù Cristo risorto e vincitore! Siamo sempre nella gioia!
D’accordo, padre, dirà qualcuno, io sento di volere la gioia, io sento che sono fatto per la gioia. Ma come devo acquistarla questa gioia? Come possederla? E come posso testimoniarla anche agli altri? Perché non c’è gioia senza un motivo. E allora, quali sono i motivi della nostra gioia profonda, della gioia che dobbiamo sempre avere nell’anima e nel cuore? Già li ho accennati questi motivi, ma per dirla in breve: la nostra gioia cristiana deriva soprattutto dalla fede. Sì dalla fede. E anche di fede ci ha parlato quest’oggi tutta la Liturgia della Parola. La I Lettura: “I credenti erano in cuor solo e un’anima sola”. E perciò vivevano così, veramente come una famiglia unita, in cui si volevano bene. Ma perché amavano il Signore, perché avevano la fede, allora mettevano in comune anche le altre cose; allora spezzavano il pane e celebravano l’Eucaristia in comune; allora erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, allora erano assidui nella preghiera. E allora prendevano anche i pasti in letizia - cioè nella gioia - e in semplicità di cuore. Perché avevano la fede. Se non c’è la fede e la fede vera e completa, non ci potrà mai essere la gioia.
E di fede ci ha parlato anche S. Pietro nella II Lettura, quando, rivolgendosi primi cristiani, ha detto: “Voi siete nella sofferenza perché vi perseguitano, tuttavia siete nella gioia perché avete la fede, perché credete che ci sarà il Paradiso per voi, credete che mediante queste sofferenze voi acquisterete dei meriti per il Regno dei Cieli”.
E di fede come di gioia ci ha parlato infine anche il brano evangelico. Anzi, il brano evangelico in modo tutto particolare: “Pace a voi! Guardate le mie mani, il mio costato! Sono proprio io, il vostro Signore e Maestro. Credetemi, sono proprio io!”. - “ Ah no, - disse San Tommaso che non c’era quella volta - se io non vedo, se io non tocco, se io non metto il dito e la mano, io non crederò, non voglio credere, non posso credere, la testa mi dice così!”.
E allora Nostro Signore, per fortuna - fortuna per San Tommaso - apparve ancora dopo otto giorni e lo prese in parola: “Tommaso, ecco, guardami, metti il tuo dito nelle mie ferite, e la tua mano nel mio costato. E non essere più incredulo, non voler più ragionare solo con la tua testa, ma credi alla testimonianza di chi ha visto, di chi ha toccato prima di te. Comunque, tu mi hai visto e perciò hai creduto e sei beato; ma più beato di te chi crede senza vedere!”.
E allora noi, bambini e grandi di oggi, siamo più beati degli apostoli, più beati di San Tommaso. Tante volte pensiamo: “Ah se fossi vissuto 2000 anni fa, se anch’io come San Pietro e San Tommaso avessi potuto camminare a fianco di Gesù, mangiare con Lui, ascoltare la sua parola, vedere qualche suo miracolo, toccarlo, abbracciarlo, baciarlo, ah che gioia sarebbe stata per me, che beatitudine!”. Ma Gesù ci dice: “Beato chi pur non avendo visto crederà!”. Noi siamo beati così! Noi siamo nella gioia così! Perché? Perché crediamo anche senza vedere. Non vi fidate troppo della ragione, fratelli e sorelle. Non ci fidiamo, è una cattiva consigliera, è una cattiva padrona. E’ tanto meglio per l’uomo sulla terra lasciarsi guidare dalla fede. Noi Dio non lo vediamo perché egli è invisibile ma crediamo che Egli c’è, perché Gesù Cristo ce l’ha detto, perché gli apostoli ci hanno testimoniato la verità di nostro Signore. Ecco perché siamo nella gioia: perché crediamo, perché abbiamo la fede.
E inoltre un motivo aggiunto per la nostra gioia - al quale in parte già ho accennato - è il seguente: perché abbiamo dalla misericordia di Dio il perdono per i nostri peccati. Non per nulla il Signore risorto, quando apparve degli apostoli, subito dopo aver detto “pace e gioia, shalom a voi”, alitò su di loro e disse “Ricevete lo spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”. E in questo modo donò agli apostoli il potere divino di rimettere i peccati. Dunque voleva intendere: “Pace a voi e pace a tutti quelli che avranno il perdono dei peccati attraverso il vostro ministero”.
C’è gioia nell’avere il perdono dei peccati? Oh, fratelli miei, non c’è gioia più grande di questa. Quando l’uomo ha peccato, subito si trova immerso nella notte, nella nebbia e nella tristezza che tristezza maggiore non ci può essere, e non possono rallegrarlo tutte le cose di questa terra messe insieme. Anche se arriva la primavera, anche se viene il suo compleanno e gli amici gli fanno festa, ma se continua a stare nel peccato, egli non può essere nella gioia. Quando invece si inginocchia con umiltà dinanzi al sacerdote rappresentante di Cristo, e dice: “Padre, perdonatemi perché ho peccato!”, e il sacerdote nel nome di Gesù gli dice: “Va in pace, io ti assolvo dai tuoi peccati, e non peccare più!”, allora ritorna la gioia, una gioia senza confini. Egli è rinato, come un bambino. Può di nuovo sperare, può di nuovo correre, può di nuovo avere l’amore. Può di nuovo ricominciare e ricostruire. È tutto un mondo nuovo, è tutta una cosa nuova!
Una volta, San Luigi Orione stava predicando in una parrocchia, alla sera un po’ tardi, e parlava della misericordia del Signore. Ad un certo punto, come ispirato da Dio, disse: “Se anche un figlio avesse messo il veleno nel piatto di sua madre per ucciderla, se costui si pente e si confessa, riceve il perdono di Dio!”. Finita la predica, il santo si affrettò per andare alla stazione a prendere il treno, ma purtroppo lo perse, e allora si decise di ritornare a piedi verso Tortona il suo paese. Il tempo era anche brutto: d’inverno, faceva freddo, c’era la nebbia, e poi era di sera tardi. Si era da poco avviato quando vide sul ciglio della strada un uomo alto, robusto, con la barba, con il cappello, un tipo non troppo raccomandabile. Quando gli fu vicino, serenamente e con coraggio, gli disse: “buonasera”. - “Buonasera!” rispose l’uomo. E Don Orione stava per continuare. - “Un momento” ribatté l’uomo e lo fermò. “Sì, dica”. -“Lei mi conosce, reverendo?!”. - “Io? Io no, non la conosco. Non l’ho mai vista”. - “Ma sì che mi conosce! Lei questa sera nella predica ha parlato di me.” -“Di te?!”. - “Sì! Quando ha detto: Se anche un figlio avesse messo il veleno nel piatto della madre … Quell’uomo sono io! Io ho fatto proprio così a mia madre! … Ma Lei ha anche detto che costui può ricevere il perdono di Dio!? E’ vero, è proprio vero?”. - “Ma senz’altro, se è pentito”. “Allora, posso ricevere il perdono?” . - “Sì, sì , figlio mio”. Allora quell’uomo s’inginocchiò lì, in mezzo alla strada, a quell’ora tarda, e disse: “Perdono, padre; voglio la misericordia e la Grazia del Signore!”. E San Luigi Orione gli diede l’assoluzione. Immaginate la gioia che tornò nel cuore di quel povero uomo dopo aver ricevuto il perdono dei suoi peccati!
Ecco la nostra gioia, fratelli e sorelle! Ricordiamoci: la gioia e la pace in questa vita e la gioia e la pace per l’eternità sono sempre legate alla fede e alla Grazia del Signore. Perciò, vogliamo credere con tutto il cuore e l’anima; vogliamo credere a tutto quello “che Gesù ci ha rivelato e che la Chiesa ci propone a credere”. E perciò vogliamo vivere sempre nella Grazia di Dio lontani dal peccato. In conclusione: Beati quelli che credono anche senza vedere, e beati quelli che pentiti ricevono il perdono dei loro peccati!

Sia lodato Gesù Cristo!

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