II PASQUA-C - Cari fratelli e sorelle, questa domenica di Pasqua potremmo chiamarla la “domenica della fede” perché di fede si parla nel santo Vangelo. Oppure, se volete, la “domenica di S. Tommaso”, perché questo apostolo, per avere la fede e per credere, volle vedere e toccare. Però, nostro Signore Gesù Cristo non lo approvò, ma anzi lo rimproverò se pure dolcemente. Comunque, lo “accontentò”, dato che avrebbe potuto pure non farlo, cioè non riapparire di nuovo lasciando così Tommaso nella sua ostinazione. Ma era importante, importantissimo, anzi fondamentale che tutti gli apostoli fossero arciconvinti della Risurrezione di nostro Signore - su cui si basa tutto il Cristianesimo - e che fossero tutti uniti tra di loro in una identica e univoca testimonianza. Invece S. Tommaso in quel momento era una nota stonata, fino a quando non si accordò pure lui con gli altri.
Ma intanto, io mi sento pensato da nostro Signore, mi sento pensato nella frase appena ascoltata, ossia “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. In questa frase mi sento pensato anch’io da Gesù, quel giorno, quella sera, in quella occasione. Quella volta senz’altro Gesù pensò anche a voi, cari fedeli, anche a me, anche a ciascuno di noi e a tutti quelli che nel corso dei secoli avrebbero creduto in lui senza vedere e senza toccare, a differenza di Tommaso che credette dopo aver visto e toccato.
E S. Giovanni termina il racconto evangelico con la frase: “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Ecco il motivo per cui S. Giovanni ha scritto e così anche gli altri evangelisti. E quindi è proprio giusto definire questa domenica, a otto giorni dalla Pasqua, come la “domenica della fede”.
La fede, cari fratelli e sorelle, è un dono di Dio, ma essa è anche una risposta dell’uomo. In un modo misterioso ma certo e sicuro, Dio e l’uomo collaborano tra di loro. Anche riguardo alla fede l’uomo non può fare nulla senza Dio e senza la sua Grazia, e Dio non vuole fare nulla senza l’uomo. Si dice - ed è la verità - che la fede non è razionale. Nel senso che la fede non è “abbracciabile”, diciamo così, dalla ragione. La ragione è il metro di misura per le realtà terrene e sensibili, con le quali ci troviamo a contatto e che cadono sotto i nostri sensi. Mentre “la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Eb, 11, 1).
Sì, è vero: la fede non è razionale, tuttavia essa è ragionevole. La distinzione sembra sottile ma è profonda ed è vera. Il Papa San Giovanni Paolo II ha scritto una Lettera impegnativa e bella dal titolo “Fides et Ratio”, cioè la fede e la ragione. In essa si spiega che tra fede e la ragione non c’è opposizione ma ci sono dei rapporti, diciamo anche, di reciproco aiuto.
Insomma, la domanda in fin dei conti potrebbe essere la seguente: dimostra più ragionevolezza la persona che crede, colui che aderisce alla fede, oppure chi con crede, chi dice di non credere, chi si proclama ateo? In realtà, al di là di quanto si possa pensare in un primo momento, è ragionevole credere mentre è irragionevole non credere ed essere atei. Insomma, si potrebbe anche dire: la fede è a misura d’uomo. E quindi, professare l’ateismo è essere meno uomini, non essere perfettamente uomini. E’ andare in qualche modo contro la propria natura, perché la natura umana è disposta alla fede, è recettiva, è “capace” della fede, direbbero i teologi. E’ capace di accogliere e di contenere la fede, cioè il dono del Dio che chiama.
Forse questi discorsi sono un po’ difficili e non penso certo di poterli sviscerare del tutto o risolvere, specialmente adesso qui in questi pochi momenti dell’omelia, ma sta di fatto che nostro Signore non fece un applauso a S. Tommaso incredulo. Come similmente quell’altra volta, tanto per citare ancora una pagina del Vangelo, a Marta di Betania. “Signore, dì a mia sorella che mi aiuti, non vedi come io sono tanto affaccendata mentre lei sta solo qui ai tuoi piedi!”. E Gesù rispose: “Marta, Marta … “. Qualcosa del genere, in tono di dolce rimprovero, Gesù disse anche a S. Tommaso: “Tommaso Tomaso, beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.
Cerchiamo di continuare il ragionamento. Se noi volessimo vedere e toccare tutto ed essere certi solo di quello che vediamo e tocchiamo - quindi il cosiddetto “positivismo” (quest’altra parola magica), il positivismo puro - ci autodistruggeremmo. Non sarebbe più assolutamente possibile vivere una vita giusta, tranquilla e normale. In realtà, noi facciamo tanti atti di fede dalla mattina alla sera, dalla nascita alla morte, in tutta la nostra storia umana. E nessuno afferma che, facendo questi atti di fede, noi dimostriamo irragionevolezza. Anzi, sarebbe irragionevole non farli.
E si tratta di uomini e di cose umane; lì invece si tratta di una fede divina, ancorata al cielo, alla Parola di Dio, a nostro Signore Gesù Cristo che è “Via, Verità e Vita” e le cui “parole non passeranno”.
Riascoltando Gesù che dice “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”, io, oltre che sentirmi pensato – e questo mi fa molto piacere -, mi sento anche incoraggiato da Gesù, sostenuto per così dire. Come se mi dicesse: “Fai bene a credere, è giusto che tu creda senza vedere”. E S. Giovanni continua l’affermazione di nostro Signore dicendo: “Ascoltate la mia e la nostra testimonianza, sentendo quello che ha detto Gesù Maestro, e quindi credete e aderite a Gesù, perché credendo abbiate la vita nel suo nome”.
Dicevo che, riascoltando queste parole di Gesù e questa testimonianza di Giovanni, io mi sento incoraggiato: “E’ giusto che tu abbia la fede e che tu creda senza vedere, e non ti chiedo qualcosa al di là delle tue possibilità. Cioè, non ti chiedo una cosa assurda”. Gesù, chiedendo all’uomo la risposta di fede, non gli chiede una cosa assurda; se no, egli sarebbe ingiusto e non avrebbe mai potuto dire: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.
Per credere io devo solo lasciarmi aiutare, in qualche modo, dai cosiddetti “segni della fede” e ancor di più, sapete, devo essere puro e semplice dentro al cuore.
Quella volta nostro Signore disse: “Ti benedico, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli!”. E ancora: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio!”. Allora sì che si accoglie la fede, si aderisce alla sua Parola. Diversamente, è impossibile.
Il padre Abramo rispose al ricco epulone, che lo supplicava di mandare qualcuno sulla terra per convincere i fratelli che facevano una mala vita a convertirsi, rispose: “No, hanno Mosè e i Profeti; perché, in verità ti dico: se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti si farebbero persuasi”.
Perciò, tutto sommato, come già detto, Tommaso era da rimproverare ma in maniera dolce perché poi comunque egli aderì alla fede, confessando: “Mio Signore e mio Dio!”. Se invece egli fosse stato proprio duro dentro al cuore , non avrebbe neanche in quel caso aderito con la fede, neanche dopo aver visto e toccato.
Infatti, tanti altri, gli Scribi, i Farisei, i Sommi Sacerdoti, non aderirono neanche dopo. Le guardie del sepolcro erano andate da loro a riferire come si erano svolte le cose. Certamente avranno detto del terremoto, della pietra rovesciata, dell’angelo. Avranno detto soprattutto della tomba vuota, delle bende, del sudario, della Sindone, lasciati “afflosciati” nel sepolcro. E quei segni – tra parentesi - convinsero Giovanni: “vide e credette”; credette che Gesù era risorto perché quei i funebri erano rimasti così nel sepolcro, sulla lastra di pietra, ma il corpo di Gesù non c’era più dentro perché egli ne era “sgusciato” fuori. Nessuno lo aveva sciolto, assolutamente. Quelle vesti non erano scomposte, erano rimaste così come erano state preparate. Solo che il corpo di Gesù dentro non c’era più. Quel lenzuolo aveva conservato le stesse forme di prima, solo che si era afflosciato. Era un segno questo, un grande segno. Come si poteva togliere il corpo di dentro senza scomporre anche le vesti e le bende di fuori? Bene, le guardie avranno riferito ai Sommi Sacerdoti questo segno ed era la pura sacrosanta verità, ma forse che essi ci cedettero? No, anzi si indurirono ancora di più nel loro peccato inventando una menzogna e pagando per farla diffondere.
E’ bene credere senza vedere, ma è meglio vedere e credere piuttosto che non vedere e non credere. Però, peggio di tutto è vedere e non credere; e fu proprio il caso dei capi religiosi di allora.
Perché questo indurimento e questa chiusura? Perché aderire alla fede, aderire a Dio e alla sua Parola – in definitiva, l’ultimo motivo è questo – comporta il cambiamento del cuore e della vita, del modo di impostare la propria esistenza. Insomma, se tu aderisci alla fede, da oggi in poi devi avere solo Dio come orientamento, come stella polare, come centro di gravità attorno a cui far ruotare tutto. Non puoi più dire “io faccio così, decido, penso, progetto, architetto da solo”, perché la domanda che dovrebbe stare dietro e sopra è sempre quella: “E Dio che ne pensa? Lui è d’accordo? Va bene per lui? Mi approva lui che è il mio Dio è il mio Padre è il mio Salvatore ? E la vita eterna? Va bene questo per la mia salvezza?”.
Allora, ripeto: purezza e semplicità di cuore sono condizioni per la fede.
E poi ci sono i “segni”. Posso lasciarmi aiutare dai “segni” della fede. Anche gli apostoli si servirono di essi; vi ho detto delle bende lasciate lì nel sepolcro che per S. Giovanni furono appunto un segno di credibilità.
Comunque, andando a concludere: abbiamo sentito nella Prima Lettura, dagli Atti degli Apostoli, i miracoli che faceva S. Pietro addirittura solo con la sua ombra. I miracoli di S. Pietro: li ha fatti lui, mentre io non li ho fatti. Nella Seconda Lettura, dall’Apocalisse di S. Giovanni: lui ha avuto le visioni e io non le ho avute.
Visioni e apparizioni le hanno avute anche tanti altri, per esempio S. Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, di cui oggi celebriamo la festa: lei ha avuto queste apparizioni e io no. S. Tommaso ha visto e ha toccato e io no . Però, è come se anch’io avessi fatto i miracoli insieme a S. Pietro; è come se anche io avessi avuto le visioni insieme a S. Giovanni o le apparizioni insieme a S. Faustina Kowalska, e insieme a S. Tommaso avessi steso le mie mani per vedere e per toccare. Perché, in effetti, questi sono appunto dei “segni” che sono validi anche per me. Nel senso che io accolgo la testimonianza dei diretti interessati, dopo che mi sono reso conto che essi non erano persone cattive e non avevano motivi per ingannare. Quindi, queste persone danno tutte le garanzie per essere credibili e anche altri attorno a loro aderiscono e concordano con quelle testimonianze. E tanti altri uomini e donne in tutti i tempi e luoghi hanno accettato le loro deposizioni. E’ esattamente il concetto che esprime lo stesso S. Giovanni nella sua Prima Lettera: “Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1 Gv 1, 3).
Bene, cari fratelli e sorelle: per Grazia di Dio, dal giorno del nostro Battesimo, noi abbiamo già la fede che è il tesoro più grande; ma “nella ricorrenza pasquale - come si dice nella Colletta iniziale - Dio ravviva la nostra fede”. Allora, in conclusione: cerchiamo di approfondire sempre di più la nostra fede e soprattutto di metterla in pratica, lottando contro gli ostacoli, e andando contro corrente, perché specialmente oggi, con questa bailamme che c’è in giro, se non si difende la fede, se non la si coltiva, prima o poi la si perde. Ma avere e conservare la fede è assolutamente fondamentale per la vita di qua e soprattutto per la vita dell’aldilà.
Padre Michele Iorio
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