Di padre Tarcisio Stramare - Al racconto dell’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria, riguardante direttamente il mistero dell’Incarnazione (1,26-38), Luca fa seguire quello della visita di Maria ad Elisabetta (vv. 39-56), denominato la “Visitazione”. Deve trattarsi di un fatto importante, a giudicare almeno dalla festa liturgica che lo richiama (31 maggio), dalle espressioni artistiche che lo ritraggono, dalla venerazione di un particolare luogo di culto in Palestina (ad Ain Karim), dal santo Rosario che lo annovera tra i suoi Misteri, dalla preghiera “Ave, Maria”, che ripete il saluto di Elisabetta, per non parlare del “Magnificat”, quotidianamente presente nella Liturgia delle Ore ed oggetto di una immensa letteratura. L’episodio evidentemente trova un’adeguata risonanza anche nel culto di san Giovanni il Battezzatore, in relazione alla “presantificazione” del Precursore di Gesù.
Esaminando le pubblicazioni che riguardano il nostro argomento, non si può conseguentemente nascondere una certa sorpresa di fronte a un susseguirsi di riflessioni più aperte verso nuovi orizzonti che impegnate a delimitare ed approfondire l’essenziale. In campo esegetico, continua la tendenza a considerare singole parole e particolari del racconto come ricalco di espressioni e situazioni analoghe dell’Antico Testamento (ad esempio, il cantico di Anna, la traslazione dell’Arca, l’elogio di Giuditta) con possibile scapito della storicità del racconto.
Dal punto di vista dottrinale, lo stesso sviluppo e relativo contenuto liturgico della festa della Visitazione non consentono di puntualizzare chiaramente il nucleo del mistero che si intende celebrare; d’altra parte, è tutta la teologia dei misteri della vita di Cristo, e in particolare quella dei misteri della vita nascosta di Gesù, che è lacunosa su questo fronte, a cominciare dalla carente definizione dello stesso concetto di “mistero”.
Inoltre, la preoccupazione della “attualizzazione” antepone spesso le esigenze del lettore a quelle del testo, evidenziando l’incontro, il dialogo, la solidarietà, visita come espressione della carità teologale, il servizio, la condivisione, la collaborazione, la partecipazione all’esperienza di Dio, la valutazione delle femminilità, della vita e della maternità, il senso di appartenenza, della casa, dell’accoglienza, della liturgia quotidiana, della testimonianza, del pellegrinaggio, della comunicazione, della missione, oltre evidentemente la fede e la celebrazione delle meraviglie di Dio. Senza mettere in discussione l’utilità di questa “esegesi”, va detto apertamente che ci troviamo di fronte a interpretazioni, che partono “dalla” parola di Dio piuttosto che essere interpretazioni “della” parola di Dio.
Per quanto riguarda la qualifica di “mistero”, l’episodio della visitazione ne partecipa solo se letto in diretto e stretto collegamento con quello dell’annunciazione, che forma il nucleo del mistero dell’incarnazione. Pur contenendo una varietà di preziosi elementi, come sopra accennato, esso è sostanzialmente la verifica del segno dato a Maria dall’angelo: “Ecco, anche Elisabetta tua parente ha concepito un figlio nella sua vecchiaia, e questo è il sesto mese per colei che era chiamata sterile, perché nulla è impossibile a Dio” (1,36).
Coloro che sottovalutano l’importanza del “segno”, partono dal presupposto che Maria non dovesse averne assolutamente bisogno, considerandolo addirittura in contrasto con la purezza della sua fede. Senza entrare nell’argomento della fede di Maria, non si vede come questo segno non potesse e dovesse essere necessario “per gli altri”, oltre che “a lei” di fronte “agli altri”. E’ qui che entra in campo san Giuseppe, la cui presenza è ben sottolineata all’inizio del racconto dell’annunciazione, dove l’evangelista qualifica Maria “vergine sposata a un uomo, chiamato Giuseppe, della casa di Davide” (Lc 1,27). Non si può rimuovere questa presenza senza intaccare la qualifica di Maria, “vergine sposata a un uomo”, indispensabile per la successione del Figlio alla “sede di Davide suo padre” (v.32). Nell’esortazione apostolica “Redemptoris custos”, Giovanni Paolo II nota espressamente che “nella sua divina maternità Maria deve continuare a vivere come ‘una vergine, sposa di uno sposo’” (n.18).
Anche se l’interferenza dell’insegnamento del Magistero con l’interpretazione del testo, come pure quella tra un autore sacro e l’altro, non è gradita a qualche esegeta contemporaneo, ritengo, tuttavia, che la “ragionevolezza” debba essere preferita a qualsiasi “metodologia”. Il “segno” in relazione alla “fede” è ampiamente presente nella storia della salvezza, tanto nell’Antico come nel Nuovo Testamento, a prescindere dalla sua valenza, da valutare in base al contesto. Maria ne aveva bisogno almeno per offrire allo sposo un riscontro oggettivo a una rivelazione sorprendente e incontrollabile; Giuseppe ne aveva diritto per agire con giustizia nei riguardi della sposa e del nascituro. Coloro, infatti, che difendono il silenzio di Maria come necessario supporto della “tesi del sospetto”, interpretando conseguentemente le successive parole dell’angelo a Giuseppe come rivelazione del concepimento verginale di Maria, debbono tagliare arbitrariamente in due l’affermazione di Matteo: “si trovò incinta – per opera dello Spirito Santo” (1,18), considerando le parole “per opera dello Spirito Santo” non come indicazione dell’origine della gravidanza di Maria, ma come anticipazione di un’informazione destinata al lettore.
Da parte sua, la “Redemptoris custos” parte dal presupposto che “di questo mistero divino Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria – ed anche in relazione a Maria – egli partecipa a questa fase culminante dell’autorivelazione di Dio in Cristo e vi partecipa sin dal primo inizio” (n.5). La missione paterna alla quale Giuseppe veniva chiamato come sposo di Maria richiedeva che egli “partecipasse” al mistero e non che lo “subisse”. Come non pensare, infatti, che Maria, denominata dai fedeli l’“Annunziata”, non sia stata a sua volta la prima annunciatrice della “Buona Novella” (questo è il “Vangelo”!) e non ne abbia reso subito partecipe la persona più amata, ossia san Giuseppe, il quale, oltre tutto, essendo il suo vero sposo, era la persona non solo più interessata, ma anche la più coinvolta nel mistero della sua maternità? La radicata ipotesi del “sospetto” non è conciliabile con la personificazione di Maria “Figlia di Sion”, invitata dall’angelo alla “gioia” (Lc 1,28) per la venuta del tanto atteso Redentore! Come avrebbe potuto proprio lei, l’Annunziata, di fronte ad un avvenimento che richiedeva la sua immediata proclamazione, chiudersi in un muto silenzio, comunque lo si voglia spiegare? Non togliamo a Maria la gioia e la gloria di essere stata la prima evangelizzatrice e non togliamo a Giuseppe il diritto e il privilegio di essere stato il primo evangelizzato! Di qui la conclusione di Giovanni Paolo II: “Tenendo sotto gli occhi il testo di entrambi gli evangelisti Matteo e Luca, si può anche dire che Giuseppe è il primo a partecipare alla fede della Madre di Dio, e che, così facendo, sostiene la sua sposa nella fede della divina annunciazione” (n.5).
Poiché la ragionevolezza lo suggerisce e la logica del racconto comporta che san Giuseppe fosse già al corrente di quanto aveva operato in Maria la Potenza dell’Altissimo (cf. Lc 1,35), ne deriva che proprio Giuseppe dovesse essere il primo e diretto interessato a verificare il segno stabilito e indicato da Dio. E’ la natura stessa del “segno” che richiede la sua verifica! Ritenere, perciò, che Giuseppe abbia accompagnato Maria nei due viaggi di andata e ritorno è ragionevole. Già A. Salmeron affermava che se la Scrittura omette di precisare che Giuseppe accompagnò la Vergine in questo viaggio, è proprio perché essa considera questo particolare come “noto per sé”, derivante dal suo ruolo di sposo.
Ebbene, è proprio la conferma proveniente dagli avvenimenti dei quali era stato testimone nella casa di Zaccaria a porre Giuseppe di fronte alla realtà accertata, laconicamente riassunta da Matteo con le parole: “Si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (1,18). Nella casa di Zaccaria, infatti, Giuseppe aveva potuto costatare molte cose: innanzi tutto, la gravidanza di Elisabetta, comprovata dal movimento del bambino nel grembo materno (Lc 1,41.44), inspiegabilmente già conosciuta da Maria, nonostante la gestante l’avesse tenuta nascosta per cinque mesi (v.24); inoltre, la sorprendente conoscenza di Elisabetta circa la maternità non ancora palese di Maria (“benedetto il frutto del tuo ventre”, v.42) e circa la dignità del concepito, per cui appella Maria “Madre del mio Signore” (v.43); infine, l’elogio della fede di Maria, tradotto in una beatitudine (v.45). A tutto questo va aggiunta la costatazione, in occasione del secondo viaggio di Giuseppe per ricondurre a casa Maria, che il neonato bambino era proprio un “maschio”, come annunciato (v.36), soggetto perciò alla circoncisione. Inevitabile a questo punto la conclusione: “Quanto mi ha rivelato la mia sposa è tutto vero. Maria è incinta per opera dello Spirito Santo”.
Siamo così giunti alla vera ragione del dubbio di san Giuseppe, non suscitato dal sospetto, ma dal rispetto: “Egli non sapeva come comportarsi di fronte alla ‘mirabile’ maternità di Maria”, sintetizza la “Redemptoris custos” (n.3). La logica successione e concatenazione dei fatti qui considerati conduce da sola alla scoperta del significato della visita di Maria ad Elisabetta: un segno divinamente dato e accertato a favore della maternità divina, ossia dell’avvenuta Incarnazione. Ci sembra che, a differenza delle altre interpretazioni, per quanto seducenti possano apparire, il “test della ragionevolezza” abbia dimostrato il ruolo ben preciso di questo avvenimento nella storia della salvezza.
L’argomento ha certamente bisogno di essere approfondito, ma quanto fin qui esposto è già sufficiente a mostrare l’importanza della “Visitazione di Maria SS. a S. Elisabetta” e come essa vada celebrata dalla pietà dei fedeli in stretta connessione con il mistero dell’Incarnazione.
TARCISIO STRAMARE
La rivista “Theotokos. Ricerche interdisciplinari di Mariologia”, Anno V – 1997 – n. 1, dedica tutto il numero della Rivista a questo tema: “La Madre del mio Signore”. Il riferimento a questa monografia è importante sia per la Bibliografia ivi citata sia soprattutto per conoscere la posizione attuale degli studi su questo tema secondo i differenti punti di vista: esegetico, patristico, liturgico, catechetico, iconografico.
Cfr. P. SORCI, La Visitazione nella Liturgia, in Theotokos, pp.53-81; D. SARTOR, Visitazione (voce), in S. DE FIORES- S.MEO, Nuovo dizionario di Mariologia, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1985, pp1476-1482.
M. SORANZO, Iconografia della Visitazione, in Theotokos, pp.213-241.
D. BALDI, Enchiridion Locorum Sanctorum. Documenta S. Evangelii loca respicientia, Jerusalem 1955, pp.44-81.
Cfr. P. SORCI, art. cit.
Cfr. T. STRAMARE, Vangelo dei Misteri della Vita Nascosta di Gesù (Matteo e Luca I-II), Ed Sardini, Bornato in Franciacorta (BS) 1998, pp.16-28.
L. SEBASTIANI, La visita di Maria e Elisabetta. Una rilettura in chiave di solidarietà, in Theotokos, pp.83-111; L. GUGLIELMONI, Catechesi sulla visitazione, in Theotokos, pp. 137-175; M. KO HA FONG, Lectio divina su Lc 1,39-45, in Theotokos, pp. 177-195.
Cfr. T. STRAMARE, op. cit, pp.99-101.
Cfr., ad es., R. E. BROWN, La nascita del messia secondo Matteo e Luca, Cittadella Editrice, Assisi 1981, pp.430-436.
Cfr. T. STRAMARE, op. cit., pp.101-103.
Commentarii in Evangelicam Historiam et in Acta Apostolorum, T. III, 1612, Tractatus X: “Abiit autem non sola, sed comitante ea Iosepho, viro suo. Nam ob eam potissimum causam desponsata cum illo erat, ut ministerium et consolationem ab eo acciperet, et ut testem pudicitiae et puritatis haberet…Quaedam enim, ut nota per se, supponit Scriptura, ac proinde non narrat sponsum Iosephum vel mater Virginis Annam illi in hoc itinere adfuisse…” (pp.85-86). La parte di Anna, la madre di Maria, è fortemente sottolineata in tutta questa vicenda da P. GAECHTER, Maria im Erdenleben. Neutestamentliche Mmarienstudien, Innsbruck, 2 Auf., pp 98-116.
Oggi, in un’epoca in cui le donne vanno a fare il soldato, si pensa, invece, che “Maria fa un lungo viaggio per giungere a destinazione. Ci viene raffigurata mentre cammina tra i monti in fretta (cum festinatione, che anticipa la sollecita marcia dei pastori festinantes), senza lasciarsi irretire dalla paura dei rischi possibili, senza attendere che altri l’accompagnino, senza particolari protezioni…” (G . P .DI NICOLA, Maria ed Elisabetta, in Theotokos, p. 123.)
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