E’ stato scritto un libro intitolato “Nel cielo della nostra anima”
che parla di Santa Elisabetta della Trinità. Questa Santa fa un
semplicissimo ragionamento: il cielo è la dimora di Dio; ora, Dio
abita nella nostra anima con la sua Grazia, allora la nostra anima è
un piccolo cielo anticipato, in cui bisogna restare e di cui godere.
Cari fratelli e sorelle, per commentare degnamente il mistero della
SS. Trinità oggi celebrato liturgicamente, ci piace presentarvi
proprio la vita e la figura di questa suora carmelitana, oggi Santa.
Elisabetta Catez nacque presso Bourges (Francia) il 18 luglio 1880,
poi trasferita con la famiglia prima ad Auxonne e poi a Digione, dove
nell’ottobre 1887 rimase orfana di padre. Dotata di un carattere
piuttosto duro, volitiva, impetuosa, ardente, estroversa, dovette
lavorare a lungo e con costanza per dominarsi o come diceva lei, di
“vincersi per amore”, attirata da Cristo, particolarmente a cominciare
dalla Prima Comunione, ricevuta il 19 aprile 1891 e dalla Cresima il
18 giugno successivo.
Senza frequentare mai scuole vere e proprie, ebbe i primi rudimenti
del sapere, dello scrivere e delle scienze da due istitutrici, con una
infarinatura di letteratura. Però fin da piccola frequentò il
conservatorio di Digione, dove trovò nella musica una forma di
donazione e di preghiera, e ottenne i primi premi di esecuzione al
pianoforte.
In piena adolescenza, cominciò a sentirsi attratta da Cristo e –
racconta lei stessa – “senza attendere mi legai a lui con il voto di
verginità; non ci dicemmo nulla, ma ci donammo l’uno all’altra in un
amore tanto forte, che la risoluzione d’essere tutta sua divenne per
me ancor più definitiva”.
Sentì risuonare nel suo spirito la parola ‘Carmelo’ per cui non ebbe
altro pensiero che ritirarsi in esso. Ma trovò una forte opposizione
nella madre, la quale, rimasta vedova così giovane, aveva riposto
nella figlia e nelle sue possibilità musicali, la speranza di avere un
aiuto nella vita; pertanto, si dimostrò contraria alla vocazione di
Elisabetta, proibendole di frequentare il Carmelo di Digione, anzi
proponendogli il matrimonio con un buon giovane.
Ma Elisabetta era ormai innamorata di Cristo e non c’era spazio per altri amori.
Ad un certo momento la mamma cedette, ma ponendo la condizione che
avrebbe potuto entrare nel Carmelo solo quando avrebbe compiuto la sua
maggiore età, ossia i 21 anni a quell’epoca. Nel frattempo la
conduceva a varie “feste danzanti” della buona società, con la
speranza che Elisabetta cambiasse idea.
Ma lei, anche in mezzo al mondo, ascoltava il suo Gesù nel silenzio di
un cuore che non voleva essere che suo. Prima di uscire per queste
feste, s’inginocchiava in casa, pregava, si offriva alla Madonna, poi
con naturalezza e con un sorriso, viveva queste occasioni di festa
gioiosa, tutta presa dal pensiero della Comunione che avrebbe ricevuta
il mattino successivo e si rendeva estranea e insensibile a tutto
quello che accadeva intorno a lei.
Si preparò così alla vita monastica, insegnando il catechismo ai
piccoli della parrocchia, soccorrendo i poveri più abbandonati, in
comunione stretta con la Trinità e con la Madonna. Il 2 agosto 1901
entrò nel Carmelo di Digione e l’8 dicembre ne vestì l’abito; dopo un
fervoroso anno di noviziato, l’11 gennaio 1903 pronunciò i voti,
prendendo il nome di Elisabetta della Trinità.
Ma la gioia di aver raggiunto la meta desiderata, dopo un inizio pieno
di speranze e promesse, fu bloccata ben presto, perché il 1° luglio
1903, si manifestò nella giovane professa uno strano male, non
diagnosticato correttamente e curato con terapie sbagliate, il
terribile morbo di Addison.
Suor Elisabetta della Trinità accettava tutto con il sorriso e
l’abbandono alla volontà di Dio, manifestando la sua “gioia di
configurarsi al Crocifisso per amore” e diventando veramente “lode di
gloria della Trinità”. Da un certo punto in poi, infatti, Elisabetta
amò chiamarsi e firmarsi con il nome Laudem Gloriæ ("Lode di gloria")
perché voleva essere una continua lode di gloria per Dio-Trinità.
Questo nuovo nome che si era data era legato al rapporto che lei
stessa aveva instaurato con San Paolo, sua guida illuminatrice sulle
strade del Signore. S. Paolo, infatti, ripete per due volte nella
lettera agli Efesini il concetto di essere a «lode e gloria del
Signore» (Efesini, 1, 6 e 1, 12)
Gli anni fino al 1905 trascorsero tra alti e bassi della malattia, ma
nel 1906 la situazione precipitò; le crisi si susseguirono
opprimendola e soffocandola, mentre le viscere le davano la sensazione
di essere dilaniate da bestie feroci; non riusciva ad assumere né cibo
né bevande, e ciò nonostante non smise mai di sorridere.
Il progresso del male ormai la consumava, e scrivendo alla madre
diceva: “Il mio Sposo vuole che io gli sia una umanità aggiunta nella
quale egli possa soffrire ancora per la gloria del Padre e per aiutare
la Chiesa … Egli ha scelto la tua figlia per associarla alla grande
opera della Redenzione”.
Parlava comunque e stranamente di gioia; eppure al martirio del corpo
si era aggiunto quello dello spirito, con un senso di vuoto e di
abbandono da parte di Dio, che tanti mistici hanno conosciuto; ebbe
persino tentazioni di suicidio, superate nella fede dell’amore per
Cristo.
Il morbo ebbe un decorso piuttosto lungo e doloroso, verso l’autunno
sembrò avviarsi verso la fine; il 1 novembre parve giunta per lei
l’ora estrema e in quel giorno scrisse le sue ultime considerazioni:
“Tutto passa! Alla sera della vita resta solo l’amore. Bisogna fare
tutto per amore …”, poi per nove giorni si prostrò in uno stato
precomatoso; in un ritornare momentaneo della coscienza, fu udita
mormorare: “Vado alla luce, all’amore, alla vita”.
Morì il mattino del 9 novembre 1906, a soli 26 anni. Come S. Teresa
del Bambino Gesù anche Elisabetta della Trinità fu una grande mistica,
che seppe penetrare l’essenza dell’Amore “troppo grande” di Dio, in
intima comunione con i suoi “TRE” come Elisabetta si esprimeva
familiarmente parlando delle Persone della SS. Trinità, perno della
sua vita di oblata claustrale carmelitana.
Il Papa Giovanni Paolo II la beatificò il 25 novembre 1984, mentre
Papa Francesco l’ha canonizzata il 16 ottobre 20116.
Ed ora, per concludere in bellezza questa meditazione nell’odierna
solennità liturgica, vogliamo leggervi per intero la celebre preghiera
che uscì di getto dall’anima della nostra Santa Elisabetta il 21
novembre 1904, giorno in cui si offrì “come preda” alla Trinità:
“Mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente per
fissarmi in te, immobile e tranquilla come se la mia anima fosse già
nell’eternità. Niente possa turbare la mia pace né trarmi fuori di te,
o mio immutabile; ma che ogni istante mi immerga sempre più nella
profondità del tuo mistero. Pacifica l’anima mia, rendila tuo cielo,
tua dimora prediletta e luogo del tuo riposo. Che io non ti lasci mai
solo, ma ti sia presente, con fede viva, immersa nell’adorazione,
pienamente abbandonata alla tua azione creatrice. Gesù, mio diletto,
crocifisso per amore, io vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti fino
a morire. Ma sento la mia impotenza e ti chiedo di rivestirmi di te,
di identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di
sommergermi, di invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita
sia un riflesso della tua vita. Vieni in me come Adoratore, come
Riparatore, come Salvatore. O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio
passar la vita ad ascoltarti. Voglio rendermi docile ai tuoi
insegnamenti per imparare tutto da te: e poi, nelle tenebre dello
spirito, nel vuoto, nell’impotenza, voglio fissare lo sguardo in te e
restare nella luce del tuo splendore. O mio astro adorato,
affascinami, affinché io non possa mia più sottrarmi alla tua luce. O
fuoco divorante, Spirito d’amore, sopravvieni in me, affinché si
faccia nella mia anima come una nuova incarnazione del Verbo, ed io
gli sia una umanità aggiunta in cui egli rinnovi il suo mistero. E Tu,
o Padre, degnati di curvarti verso la tua povera creatura, e vedi in
essa il Diletto in cui hai messo tutte le tue compiacenze. O miei Tre,
mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, immensità in cui mi
perdo, io mi do a voi come una preda: immergetevi in me, affinché io
mi immerga in voi, aspettando di venire a contemplare nella vostra
luce l’abisso delle vostre grandezze”.
Cari fratelli e sorelle, che possiamo avere anche noi, a somiglianza
di Santa Elisabetta, una grande devozione alla SS. Trinità, mistero
centrale della nostra fede oggi festeggiato, per fare già di questa
terra un anticipo di Paradiso. Nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo. Amen!
Sia lodato Gesù Cristo!
PADRE MICHELE IORIO
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