Sia lodato Gesù Cristo!

Madre Teresa, un giorno, uscita per le strade di Calcutta, incontrò un povero ammalato, lì in mezzo alla strada; si chinò su di lui, poi lo prese e lo portò a casa, lo mise nel suo letto pulito e gli portò alle labbra un bicchiere per un sorso d’acqua, che il povero non riuscì neanche a bere. Ma a quel gesto l’ammalato la guardò, i suoi occhi si illuminarono e disse semplicemente: “Grazie!”. E poco dopo morì.

Un gesto di carità soprannaturale, a cui corrispose una parola tra le più brevi e le più semplici, ma tra le più fondamentali e importanti che si possano dire: “Grazie!”.

Cari fedeli, direi che questa parola “grazie” può riassumere un po’ tutta la nostra esistenza, per quello che abbiamo e per quello che siamo. Una parola sulla quale siamo invitati a ritornare e a riflettere, se è possibile in maniera più approfondita, dal santo Vangelo appena ascoltato. E’ un episodio storico, semplice e comprensibile, quello che ci viene posto sotto gli occhi dal brano evangelico. Ci sembra proprio di immaginare la scena: questi dieci lebbrosi malati e poi guariti e di cui uno solo poi torna da Gesù per pronunciare la parola “grazie!”. E quindi la tristezza, il dissapore, l’amarezza del Maestro: “Ma come? Non erano dieci quelli guariti? E come mai uno solo è tornato a dire “grazie”? Dove sono gli altri nove?”. E, neanche a farlo apposta, costui che era tornato era un Samaritano, cioè uno che, nell’opinione comune della gente, non era troppo religioso ma mezzo eretico. Gesù volle far notare questa cosa: “Come mai: uno giudicato lontano da Dio è venuto a ringraziare, e gli altri ritenuti più religiosi, appena riacquistata la salute, se ne sono andati chissà dove, ma non sono tornati a dire “grazie” e a rendere gloria?”.

Ecco, la parola: “Grazie”.

Nelle preghiere del mattino – che, spero, tutti quanti recitiamo non per abitudine o per una semplice tradizione o educazione ricevuta, ma con profonda convinzione -, nelle preghiere del mattino, tra le altre, c’è una preghiera che comincia proprio così: “Mio Dio, ti ringrazio che mi hai creato e mi hai fatto cristiano”. E poi io, sacerdote, consacrato, religioso aggiungo anche: “e perché mi hai chiamato, per sola tua bontà, alla vita religiosa”.

In effetti, sono tre gradini, uno più basso, l’altro a metà e l’altro ancora più su. Tre gradini di ringraziamento, che possono costituire come un esame di coscienza un po’ per tutti noi.

“Mio Dio, ti ringrazio chi mi ha il creato”. Ecco il dono della vita: sono vivo, siamo vivi, con tutto ciò che questo significa. Tra milioni, miliardi di esseri possibili, Dio ha scelto me, ha scelto proprio me per parteciparmi la vita. Per infinite combinazioni, che noi diremmo “casuali” ma in realtà sono “provvidenziali” – penso a tutte le generazioni che mi hanno preceduto e dal cui intreccio sono venuto esattamente io e non un altro – , il Signore ha voluto proprio me e mi ha dato la vita. “Grazie, mio Dio, ti ringrazio perché mi hai creato!”.

E pensiamo poi a tutti gli altri doni di natura; non solo la vita ma anche ciò di cui normalmente ci serviamo per andare avanti: l’aria, la terra, il cibo, l’acqua e così via …

C’è poi il secondo gradino di ringraziamento: “E perché mi hai fatto cristiano”.

Pensate al cumulo di beni che abbiamo avuto in quanto cristiani: il Battesimo che ci ha liberati dal peccato e ci ha fatto figli di Dio infondendo in noi la vita divina; gli altri sacramenti, l’Eucarestia, la Confessione, la Messa, la preghiera. Possiamo accostarci a Dio e parlargli da amici, anzi da figli: “Padre Nostro! Papà mio, Papà nostro!”. Il Vangelo, la Parola di Dio che io posso ascoltare, approfondire, comprendere. Non sono forse tutti doni legati alla mia vocazione cristiana? Doni che tanti altri, sulla faccia della terra, non hanno avuto o non hanno ancora. Pensate a tutti i non cristiani, a tutti quelli che non conoscono Gesù e il Vangelo.

Allora: “Mio Dio, ti ringrazio che mi hai fatto cristiano!”. È il secondo motivo di ringraziamento.

E infine, il terzo motivo di ringraziamento: ognuno può e deve pensare a tutta la trama della sua vita, dal momento della nascita fino ad oggi, e cercare di vedere quali e quanti altri doni specifici e unici il Signore gli ha fatto. E ne scoprirà veramente tanti! In quella occasione e in quell’altra: un’incontro, una circostanza, un libro, una persona, un posto, un pericolo scampato, una illuminazione, il “saper fare”, una capacità, una cosiddetta “ fortuna”, ecc …

Ringraziare Dio per la vita e per i doni naturali, ringraziare Dio per la vita divina e per i doni soprannaturali, e ringraziare Dio per tutte le altre cose che egli semina giorno per giorno sulla nostra strada e di cui è fatta questa nostra esistenza.

Inoltre, cari fedeli, vogliamo pensare anche a quello che Dio prepara per noi dopo la morte, vale a dire la vita eterna, il Regno dei Cieli, il santo Paradiso, la gloria e la gioia senza fine. Perché siamo stati creati quaggiù, siamo stati fatti cristiani quaggiù per essere poi vivi e gloriosi e gioiosi per sempre lassù in Cielo. Infatti, invano avremmo avuto la vita naturale, invano saremmo stati resi cristiani, battezzati, cresimati e così via; invano avremmo avuto tutte le altre grazie personali, tutti gli altri doni di Dio, se – ahimè – non raggiungessimo poi la meta, il fine, lo scopo di tutto, vale a dire la vita eterna e il Paradiso. Insomma, il progetto di Dio è questo: tutti i suoi doni, dal primo all’ultimo, tendono al raggiungimento del porto beato della vita eterna verso la quale siamo incamminati e che ci sta davanti. Ce lo ricorda S. Paolo oggi nella Seconda Lettura scrivendo: “Io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna”. E ce lo ricorda anche la Madonna di Fatima, di cui in questi giorni ricorre l’anniversario dell’ultima apparizione, Lei che ai tre pastorelli promise il Cielo ma fece anche vedere l’Inferno!

In conclusione allora: oggi siamo invitati a ringraziare Dio di tutti i doni, allontanandoci dalla superbia, dell’egoismo e dalla durezza, per le quali cose noi talvolta pensiamo che ci sia tutto dovuto o che tutto dipende da noi e che non dobbiamo dire “grazie” a nessuno, neanche a Domine-Iddio. Invece con la riconoscenza, l’umiltà e la fiducia di quel decimo lebbroso guarito vogliamo dire “grazie” per tutto e per sempre. E, nello stesso istante che diciamo grazie, cari fedeli, noi ci ricordiamo anche che Dio ci ha fatto e ci fa tutti questi doni allo scopo di poterci avere un giorno con sé in Paradiso. Pertanto, in quello stesso momento che diciamo “grazie”, noi ravviviamo anche l’impegno a voler far fruttificare i doni di Dio affinché possano per davvero, con la nostra buona volontà e con la sua Grazia, giungere a maturazione fino al Regno dei Cieli.

Anche per quei dieci lebbrosi il dono della vita, quello della malattia e poi la guarigione, e ogni altra cosa, nella mente di Dio, tutto doveva servire a che essi si avvicinassero a Gesù Maestro, al Salvatore, acquistassero la fede, e praticandola potessero poi avere la salvezza e la vita eterna. Forse, non tutti e dieci riuscirono a scoprire e ad attuare questo progetto di Dio, e sprecarono i doni del Signore. Invece, quel decimo lebbroso fu sulla buona strada, fece un passo dopo l’altro, dalla malattia alla guarigione, dalla guarigione al ringraziamento, dal ringraziamento alla fede. E perciò Gesù alla fine gli disse quelle consolanti parole: “Alzati e va; la tua fede che ha salvato!”. Un simile cammino fu percorso anche dal siro Naaman, non ebreo, di cui ci parla la I Lettura di oggi, il quale dopo la guarigione tornò a ringraziare il profeta Eliseo e confessò a lui la sua acquistata fede nel Dio vero e unico. Dio vuole veramente che “tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità”, come fa comprendere in particolare il Salmo Responsoriale.

Cari fratelli e sorelle, che la fede e il ringraziamento possano salvare anche noi, non solo e non tanto per le cose e i mali di quaggiù, quanto soprattutto possano salvarci per la vita di lassù. Amen!

Sia lodato Gesù Cristo!

Padre Michele

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