XXII DOMENICA TO-A - Sia lodato Gesù Cristo!
Quando ci si trova in circostanze difficili e avverse, spesso si esclama: “Ma qui ci vuole la pazienza di Giobbe!”, facendo riferimento così ad un personaggio famoso dell’Antico Testamento.
Giobbe, infatti, ebbe un mucchio di guai, e tutti in una sola volta. Sta tranquillo e sereno in casa, quando arriva un messaggero e gli annuncia: “Dei ladri hanno rubato tutto il tuo bestiame!”. Dopo un attimo entra ne un altro e gli dice: “I tuoi figli sono tutti morti! Stavano facendo festa in casa quando essa è crollata e sono morti sotto le macerie!”. Ma Giobbe non imprecò né bestemmiò. Subito dopo, gli venne una strana malattia con piaghe ripugnanti in tutto il corpo, di modo che un po’ tutti si scostarono da lui. E la moglie gli diceva: “Ma che fai?! Perché non maledici Dio? Hai ancora fede?!”. Ma Giobbe a lei: “Neanche tu temi il Signore?! … Adesso devo sopportare anche te?! Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”. Giobbe dunque ebbe una “pazienza” a tutta prova, tanto che è entrata nel proverbio: cioè seppe “patire” nelle sue difficoltà e sofferenze.
Cari fratelli e sorelle, io vorrei che noi non dico “avessimo i guai di Giobbe” -perché questi ce li dona il Signore secondo la sua Provvidenza infinita - , ma vorrei che noi avessimo la pazienza di Giobbe, la sua capacità di soffrire, di saper soffrire bene.
Sapete, a questo mondo gli uomini non si distinguono tra chi soffre e chi non soffre. Se fosse così, tutti quanti vorremmo appartenere alla categoria di quelli che non soffrono! E cercheremmo qualche ritrovato per appartenere a tale categoria! Invece gli uomini si distinguono solo tra chi soffre in un modo e chi soffre in un altro modo. Chi soffre, per esempio, bestemmiando, lamentandosi, sbuffando e mandando tutto all’aria. E chi, al contrario, soffre e porta la croce accettando ogni cosa con pazienza, benedicendo il Signore, servendosi anche della sofferenza per amarlo ancora di più, come dice San Paolo: “Tutto serve al bene per quelli che amano il Signore”. E tra queste due categorie opposte - chi soffre bene e chi soffre male - più o meno a metà ci stanno poi tutte le altre persone, senz’altro anche noi, che qualche volta soffriamo bene e qualche altra volta male, cioè qualche volta facciamo la Volontà di Dio e qualche volta ci ribelliamo e diciamo “ma perché, come mai, cosa ho fatto di male!?...”.
Magari imparassimo l’arte di saper soffrire bene, come i Santi! Chi impara a ben soffrire impara a ben vivere e impara anche a ben morire.
Cari fratelli e sorelle, oggi vorrei parlarvi della sofferenza perché mi sembra sia il tema principale della Liturgia della Parola di questa domenica.
Nella Prima Lettura il profeta Geremia, uomo di Dio, dice: “Mi trovo in un mucchio di guai, dal giorno in cui il Signore mi ha chiamato e mi ha detto ‘va, e annuncia la mia Parola!’”. Infatti, la gente lo perseguitava proprio a causa della Parola di Dio: si facevano beffe di lui e non lo volevano ascoltare … Dunque, a questo mondo soffrono anche gli uomini di Dio; non è che soffrono solo i cattivi, assolutamente!
E poi, c’è l’apostolo San Paolo nella Seconda Lettura che dice in sostanza: “Soffrite e offrite le vostre sofferenze al Signore. Facendo così, piacerete a Lui, farete cosa buona e gradita ...”.
Nel Vangelo, infine, Nostro Signore Gesù Cristo, il più chiaro di tutti, fa una bella ramanzina a San Pietro quando questi si oppone alla croce. Gesù dice ai suoi discepoli: “Sapete, miei cari, io farò una brutta fine: mi cattureranno, mi metteranno a morte, dopo avermi schiaffeggiato, insultato ecc ecc …”. E San Pietro reagisce: ”Ma che dici!? Non è possibile! Questo discorso non mi piace!”. Chiama Gesù in disparte, glielo sussurra all’orecchio, cerca di convincerlo che non può, che non deve essere così. Ma Nostro Signore lo respinge duramente con le parole forse più forti mai uscite dalla sua bocca - egli che era “mite e umile di cuore”. Dice a San Pietro: “Satana, diavolo, demonio, vai via, perché tu ragioni non secondo Dio ma secondo gli uomini!”. Chi non accetta il discorso della croce e della sofferenza assomiglia al diavolo. E allora Gesù ne approfitta per ribadire che non solo la sua via sarà una via di sofferenza, una Via Crucis, ma dice e aggiunge: “Questo anche per voi tutti: se mi volete seguire, dovete andare incontro alla croce e alla sofferenza. Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.
Cari fratelli e sorelle, non abbiamo assolutamente bisogno di dimostrare che a questo mondo c’è la croce e la sofferenza. Ogni bambino che nasce, piange; comincia a piangere, forse per dire: “sono capitato in una terra di triboli e di spine”.
Noi soffriamo in tanti modi, possiamo dire in tutti i modi; ogni modo è buono per soffrire. Non esiste un posto in cui sedersi comodi e tranquilli, e dire: “Ah, adesso sto proprio bene, non mi manca più nulla!”. Anche quando, per così dire, hai tutto - amici, soldi, una famiglia, un lavoro, fama, applausi … - certamente soffri per un motivo o per l’altro.
Io vorrei cercare di capire, e forse anche voi come me, ma perché a questo mondo dobbiamo soffrire. Vorremmo entrare nel pensiero di Dio, vorremmo capire le vie di Dio: perché in effetti Dio ha voluto che il Figlio suo ci salvasse tramite la croce? Non poteva scegliere un altro modo? E perché il Signore ha voluto che noi acquistassimo il Paradiso tramite la croce e la sofferenza? Una risposta esauriente a questa domanda non ve la posso dare io né il Papa e nessun altro uomo, perché resta nascosta nel mistero della divina Provvidenza. Forse sarà la prima domanda che porremo a Dio quando un giorno, se Lui vorrà e se noi vorremo insieme a Lui, arriveremo in Paradiso. Appena varcata quella soglia e San Pietro ci aprirà, chiederemo a Nostro Signore: “Scusa, ma perché per arrivare qui in Paradiso, abbiamo dovuto soffrire tanto sulla terra?”.
Però, forse possiamo rispondere qualcosa.
Il Signore ci dà la sofferenza per ricordarci che c’è un’altra vita, che c’è una terra più bella, che la nostra patria non è quaggiù ma è lassù. E perché, domanderete voi? Perché, nonostante ci sia la sofferenza, talvolta o spesso noi ci scordiamo della vita eterna, buttandoci a capofitto sui beni e sulle cose terrene, e ci bisticciamo per avere qualcosa in più: insomma, quella che è la vita comune di tanti uomini. E tuttavia - ripeto - c’è la sofferenza e c’è la prova e c’è la malattia, e poi c’è sorella nostra morte corporale che ci toglie i nostri cari, e alla fine toglierà anche noi. E c’è il tempo che passa, la bellezza che sfiorisce, le forze che finiscono, gli amici che tradiscono. Tutto crolla sotto i piedi e magari anche la casa cade addosso come capitò ai figli di Giobbe! E nonostante tutto ciò, ci dimentichiamo della vita eterna! Immaginate se a questo mondo non ci fosse la sofferenza, se tutto andasse sempre bene, liscio, tranquillo, pacifico, armonioso, splendido! E chi si ricorderebbe più di Dio, dell’anima da salvare, della vita eterna, dei beni duraturi, di ciò che veramente vale?! … Ahimè, ci comporteremmo proprio come bestie! “L’uomo nel benessere non comprende - dice la S. Scrittura - è come gli animali che periscono”.
Io dico che la sofferenza è un po’ come l’appetito: quando avete appetito andate a mangiare, e guai se non aveste appetito! Sarebbe un grosso problema, potreste morire di fame senza accorgervene! Infatti, talvolta i medici danno qualcosa per stimolare l’appetito. La sofferenza è come una spina nella nostra carne, è come l’appetito che ci fa ricordare che c’è un bene superiore di cui tu hai appetito. E non si tratta dei beni di questa terra perché se fossero i beni di questa terra, quando ce li hai, dovresti essere soddisfatto. Invece no! Li abbiamo e ne vorremmo ancora di più e non ci saziano mai. Il nostro cuore è sempre più grande di tutti i beni del mondo, il vuoto è incolmabile dentro di noi.
Cari fratelli e sorelle, ecco forse questo è un primo motivo per cui il Signore ci ha lasciato la sofferenza: essa diventa un segno e un indice, un richiamo. E’ come l’eco di un’altra vita oltre questa vita e oltre la morte. Forse le cose stanno proprio così!
Ma la sofferenza non solo ci ricorda che c’è un aldilà, e sarebbe già un buon risultato se riuscisse a non farci dimenticare la vita eterna. La sofferenza ci aiuta anche a camminare e a raggiungere la meta; è come la moneta, è come il prezzo che noi sborsiamo - per usare un’immagine molto materiale - per acquistare il Paradiso e la vita eterna.
E perché il Signore ha stabilito questo? Non lo so, ma di fatto è così! Ma io non so neanche perché lui ha stabilito la legge di gravità e perché l’acqua deve essere come è e non in altro modo. Io non conosco il perché delle leggi della natura. Semplicemente le scopro e le applico per il mio bene. E così sul piano della “sopra-natura”; questa è una legge: “Per crucem - si dice in latino - ad lucem”, attraverso la croce si giunge alla luce. E’ una legge che ha messo Domineiddio come tutte le altre leggi che ci circondano. E se l’ha messa lui, significa che è meglio così piuttosto che diversamente. Anche in questo caso, beati noi se la scopriamo, non la rinneghiamo, non malediciamo lui, ma la mettiamo in pratica per il bene nostro e degli altri!
La sofferenza è la cosa più umana e più comune che c’è. Non tutti hanno una casa, non tutti hanno degli amici, non tutti hanno dei soldi, non tutti hanno la bellezza, non tutti hanno la forza, non tutti i beni sono eredità comune degli uomini, potremmo dire, ma la sofferenza è veramente di tutti, fratelli e sorelle, anche di quelli che hanno un sacco di ricchezze anzi forse essi ce l’hanno ancora di più, come abbiamo cercato di spiegare.
E allora tutti possono utilizzare la moneta della sofferenza per andare in Paradiso, tutti possono pagare questo prezzo. Tutti, ogni volta che soffrono, potrebbero dire: O Signore, è per amore tuo che io voglio soffrire questa cosa, perché tu hai sofferto per me! In questo modo non solo salviamo e santifichiamo l’anima nostra, ma salviamo e santifichiamo - pensate un po’! - anche le anime dei nostri fratelli. La Madonna a Fatima disse: “Tante anime vanno all’inferno perché non c’è chi preghi e si sacrifichi per loro. Volete offrire dei sacrifici per la conversione dei peccatori?”. E i tre piccoli veggenti dissero: “Sì, lo vogliamo!”, e lo fecero con tanta buona volontà. Noi ce l’abbiamo già la croce, la sofferenza, senza bisogno di andarla a cercare. E allora, ogni volta che ci colpisce una pena, prendiamo questa moneta e mettiamola per così dire - questa è una bella immagine - nel salvadanaio del Paradiso: un Euro, poi un altro, e poi un altro e poi un altro ancora. Cari amici, quale non sarà la nostra meraviglia quando alla fine della vita apriremo finalmente questo salvadanaio e lo troveremo strapieno: sarà la gioia eterna del santo Paradiso! E benediremo eternamente il Signore perché ci ha dato da mangiare su questa terra durante la vita il pane duro della sofferenza. Amen!
Sia lodato Gesù Cristo!
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